martedì 15 luglio 2008

Sistema malato di clientelismo e sprechi diffusi

Appena un mese fa la "clinica degli orrori" di Milano. Ieri la notizia della giunta abruzzese decapitata dalla Procura per presunte tangenti sanitarie. Ma anche, in strettissima coincidenza di tempi, quella di una gara d'appalto a Roma con affari d'oro per manager, funzionari e imprenditori. Nel bel mezzo, una Regione (il Lazio) commissariata anche se "solo" per mano del suo stesso governatore. E ancora Campania, Sicilia e Calabria che tra conti in rosso di Asl e ospedali e connessioni malavitose, sono seriamente candidate a un default annunciato.

Sembrano sempre più un bollettino di guerra i resoconti del Servizio sanitario nazionale. Naturalmente non dappertutto e non sempre con la stessa gravità e intensità. Ma le cronache restano quelle: bilanci che (non dappertutto) sprofondano o rischiano di precipitare in tempi rapidi, malaffare e corruzione diffuse, disfunzioni di governance, un sistema di potere che non vuol saperne di staccare la spina da quel formidabile generatore di affari e di potenziale clientelismo rappresentato da 100 miliardi di spesa pubblica per la salute e da almeno altri 30 miliardi che escono direttamente dalle tasche dei cittadini.

Che quanto sta accadendo sotto il cielo del Ssn sia una «nuova tangentopoli» (Di Pietro) o un nuovo «teorema» della magistratura (Berlusconi), lo sapremo quando la giustizia (auspicabilmente presto) farà definitivamente il suo corso. Ma non è (solo) questione di garantismo o meno. Quando i sintomi si ripetono e si diffondono, un buon medico non può chiudere gli occhi: servono una diagnosi e una terapia. E per quel paziente ormai patologico che rischia di diventare il nostro Ssn, diagnosi e relativa terapia hanno ormai carattere d'urgenza. Nella consapevolezza che quel bene prezioso che va sotto il nome non sempre meritato di «universalismo sanitario», figlio di un welfare d'altri tempi, va difeso con le unghie e con i denti dai soprusi e aggiustato per quel che serve. Altrimenti non ci resterà che la "non assistenza sanitaria" modello Usa.
La sensazione è invece che in Italia le soluzioni vengono prese tardivamente. E che nel difendere l'«universalità» del Ssn, troppe volte si finisce per rilasciare il salvacondotto a tutto e a tutti. Cambiare per non cambiare, i gattopardi che non muoiono mai.

Si prendano gli esenti dai ticket: veri e propri evasori, mascherati dietro false autocertificazioni. Tanto, chi non paga le tasse, non paga tutto il resto alla solidarietà pubblica. Ebbene, si racconta che il 50-60% degli italiani siano in qualche modo ticket-esenti, eppure assai poco finora è stato fatto per contrastare i soliti furbetti della no-tax area. Un emendamento del Governo ora cerca di stringere il cerchio, grazie alla tessera sanitaria e alle maggiori informazioni di cui si dispone: ma ci voleva davvero tanto per arrivare a questa soluzione? E ancora: mentre si scoprivano gli allegri rimborsi alle cliniche private per prestazioni fantasma, nessuno s'era posto il problema dei mancati controlli nella catena di comando complessiva della gestione del Ssn. Adesso (ben venga) si è scoperto che i controlli erano per legge praticamente nulli e si vuole portarli almeno al 10 per cento.

Ora, è chiaro che i ticket non piacciono a nessuno: al cittadino che li paga e all'amministratore che teme di pagarne un prezzo politico. Ma per evitarli, i ticket, serve in ogni caso una gestione sopra ogni sospetto. Solo così si potrà salvare il salvabile dell'«universalità» della nostra sanità pubblica. Perché poi cominciano le danze del federalismo fiscale e allora sì che la sfida dell'«universalismo» rischia di essere persa. Definitivamente.

Fonte:il sole24ore.it

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